Un pallido puntino azzurro
È ormai fuori dal sistema solare. La Voyager 1 è una elle più longeve e coraggiose sonde spaziali che l’uomo abbia mai costruito e lanciato nello spazio profondo. Partita da Cape Canaveral il 5 settembre 1977, a bordo di un razzo Titan IIIE, un razzo alto 48 metri, mentre scriviamo sta viaggiando oltre l’eliopausa alla velocità di 61.200 chilometri orari ed è attualmente l’oggetto artificiale più lontano dalla Terra.
Il 14 febbraio 1990, avendo concluso la sua missione primaria, la NASA ordinò alla sonda di voltarsi indietro per scattare fotografie dei pianeti del sistema solare da quella posizione vantaggiosa (all’epoca 6 miliardi di chilometri dalla terra). Tra le immagini che ci ha trasmesso una è particolarmente iconica che è stata intitolata “a pale blue dot”: ritrae un piccolissimo puntino azzurro, sperduto nell’immensità dello spazio. Il pianeta terra.
L’astronomo americano Carl Sagan scrisse: «Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”, ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole».
Abbiamo detto 6 miliardi di chilometri ed è solo un puntino. Giriamo ora la chiave immaginaria di un razzo potentissimo – ancora da inventare – capace di spingerci ancora più in là. Arriviamo alla distanza di 66 milioni di miliardi di chilometri (7.000 anni luce). Da qui la terra proprio non si vede.
Dove siamo giunti? Ai pilastri della creazione! Tre enormi colonne formate da gas interstellare e polveri visibili all’interno della Nebulosa Aquila, fotografate dal telescopio spaziale Hubble nel 1995.
È pressoché impossibile comprendere l’immensità dell’universo. Eppure, c’è qualcosa che sfida questa immensità: il mistero di Dio. Lui, l’Autore di tutto (cfr. Geremia 32,17), non si è fermato ai confini delle stelle, ma ha scelto quel puntino – il nostro piccolo mondo – per incarnarsi e camminare in mezzo a noi. Pensiamoci: l’Infinito ha preso dimora in ciò che, agli occhi dell’universo, è quasi nulla.
Guardare quel pallido puntino azzurro ci farà capire molte cose. Buon Natale!
Alessandro Ginotta
Questo articolo è stato pubblicato su Il Corriere della Valle di giovedì 19 dicembre 2024